sabato 17 marzo 2012

All'Italia resteranno solo i bulloni


Sabato, 26 marzo 2011 - 16:50:00

"Sabato 19 marzo 2011 il Capo dello Stato, Napolitano, il sindaco di Torino, Chiamparino, il presidente della provincia, Saitta ed il governatore del Piemonte, Cota hanno reso omaggio a Marchionne ed alla fine delle auto Mady in Italy: la nuova Lancia Thema ha il pianale tedesco (Mercedes), è assemblata in Canada (Brampton) ed è un prodotto americano (una Chrysler 300 con l'aggiunta del logo italiano)". E' tutta qui la Fiat di oggi, un'azienda che si accinge a trasferirsi completamente negli Usa. Ma chi c'è dietro a tutto questo? Sergio Marchionne, che con una strategia ben precisa porterà la Fabbrica Italiana Automobili Torino a diventare un gruppo a stelle e strisce ancora troppo piccolo per competere con gli altri colossi delle quattroruote.
Ce lo spiega ancora una volta Giovanni Esposito, il commercialista napoletano che ha già fatto le pulci a Montezemolo, Sole 24Ore, Romani e ai politici (vedi box). Dopo la sua prima lettera a Marchionne,ripercorre la storia della Fiat e ci svela con la consueta precisione i retroscena utili per capire che cosa sta succedendo davvero tra Torino e Detroit. Esposito, forte di una conoscenza approfondita della questione (tanto da essere stato contattato anche dai giornalisti di Report che domenica dedicheranno alla Fiat una intera puntata) ci predice cheall'Italia resteranno solo una manciata di bulloni...

La lettera
Nel gennaio del 1953 Charles Erwin Wilson, ex numero GM, durante l’audizione ad un Comitato del Senato Usa, affermò <<ciò che era buono per la nazione fosse buono per la General Motors e viceversa>>.
Fino alla metà degli anni ottanta, quando la casa torinese era diventata il primo costruttore di auto europeo e il quinto nella classifica mondiale, e fatte le debite proporzioni, tale accostamento poteva intendersi valido anche per il duo Italia-Fiat. Fiat che non è solo auto, ma anche veicoli industriali (Iveco) e macchine agricole e movimento terra (CNH).
Con il declino del potere dell’ing. Ghidella (l’ultimo manager a comprendere cosa fosse un pianale) a vantaggio del contabile Romiti, ciò che è stato male per Fiat auto (i  camion e le mietitrebbiatrici hanno avuto una vita industrialmente normale) lo è stato per il Bel Paese, ma non viceversa.
La Ford nel settembre del 1986 era disposta ad offrire fino a 4 mila miliardi di lire per acquisire l’Alfa Romeo ed altrettanti per gli investimenti. Il 6 novembre il marchio viene ceduto alla Fiat. Secondo le ricostruzioni più ottimistiche, il prezzo pagato non ha superato i 400 miliardi di lire (un decimo dell’offerta Ford) in comode rate senza interessi a partire dal 1993. Cesare Romiti, che trent’anni prima di Sergio Marchionne aveva già ben chiare le idee di come si valorizzassero i marchi, abbandonerà la trazione posteriore. Per realizzare economie, le auto del Biscone utilizzeranno i pianali Fiat-Lancia, esclusivamente a trazione anteriore. In altri termini l’Italia ci perde 8 mila miliardi di lire e la Fiat si pappa uno dei più prestigiosi marchi di auto sportive, con la licenza di distruggerlo.
Per motivi del tutto oscuri si persevera nella convinzione che per fare gli interessi della Fiat e dell’Italia, alla guida del Lingotto ci debba essere un uomo che non abbia esperienze automotive e che ami gli States più del nostro paese. Nel 1995 viene licenziato Riccardo Ruggeri, l’ex operaio artefice del miracolo CNH. Nel 1998 viene nominato Paolo Fresco, ex vicepresidente di General Electric, conglomerato Usa che opera in tutti i settori, tranne che in quello dell’auto.
I risultati non si fanno attendere: dal 1997 al 2002 la quota del mercato italiano scende dal 43% al 30%, quella europea dal 12% all’8%. Il declino non viene percepito perché, con il contributo dei nostrani ammortizzatori sociali, gli utili sono degli azionisti ma le perdite del sistema. La Fiat, se sbaglia prodotti, se deve ristrutturare un impianto, se cala la domanda, grazie alla GIG, scarica i costi della manodopera cronicamente non utilizzata sulla collettività.
Il 13 marzo 2000 l’uomo di finanza Paolo Fresco, nonché ex compagno di scuola di “Fantozzi” (al secolo Paolo Villaggio), firma la <<mega-alleanza>> Fiat-General Motors, la quale prevede scambio di azioni, una nebulosa clausola Put e joint venture industriali. Nella partita Fiat-Gm, tutte le mosse finanziarie (quelle che interessano agli azionisti) risulteranno vincenti, le scelte industriali (quelle funzionali al sistema paese) un po’ meno. Il 16 luglio del 2002 la società americana rileva che la sua quota nel Lingotto non vale quasi nulla, mentre 21 dicembre dello stesso anno Fiat cederà alla banca d’affari Usa Merrill Lynch l’intera partecipazione Gm per 1,16 miliardi di dollari.
Nel boom delle auto a motorizzazione diesel (in particolar modo le piccole), le quote di mercato dei marchi GM Europe (Opel, Suzuki e Saab) saranno salvati da due gioielli della tecnologia: i multijet di progettazione Fiat da 1.248 cm3 e 1.910 cm3. C’è l’accordo sui Suv, di cui il gruppo italiano era sprovvisto: nella fabbrica di Esztergom in Ungheria, di proprietà del marchio giapponese della galassia GM, dovrebbero essere costruite le tre “cugine” Fiat Sedici, Suzuki SX4 e Lancia Pangea. I giapponesi assembleranno le auto, Fiat fornirà assistenza tecnologica ed i motori diesel. La vendite della Sedici partono bene, ma nell’accordo c’è scritto che la produzione per gli italiani è contingentata a 20 mila auto l’anno: per correre ai ripari il suv Lancia viene cassato e si ridimensiona la promozione della Sedici.
I tecnici Gm convincono quelli italiani che uno dei nuclei centrali dell’alleanza deve essere lo sviluppo della pianale “Premium”. Gli americani ci credono talmente tanto, che non ci realizzeranno mai nessuna auto. Quando alla Fiat capiranno che l’eccessivo peso di tale piattaforma è incompatibile con le alte prestazioni, era già troppo tardi: decidendo di realizzarci la 159, la Brera e Spider, gli avevano affidato il rilancio dell’Afa Romeo. Il pianale non sarà destinato a nessuna altra vettura e la Fiat svaluterà in bilancio i residui costi di progettazione e industrializzazione.
Nel frattempo, per non correre il rischio di vendere troppe auto, ci si libera prima di Walter De Silvia  (il cui unico difetto pare fosse quello di disegnare vetture che si vendessero) e poi di Giuseppe Morchio (purtroppo per lui, essendo un ingegnere meccanico proveniente dalla italiana Pirelli pneumatici, era uomo di industria oltre che di finanza).
In Italia ci sono i migliori designer del mondo, invece la Stilo, che dovrebbe fare concorrenza ad affermate vetture quali Volkswagen Golf e Ford Focus, la fanno disegnare al computer del centro stile e, presentata nel 2001, sarà un insuccesso catastrofico.
Arrivando Sergio Marchionne, il grande negoziatore-ristrutturatore che di auto non capisce nulla, maturano le condizioni per rompere l’accordo con General Motors. Il manager Fiat si preoccuperà solo degli interessi degli azionisti, lo statunitense anche di quelli industriali: gli americani pagano 1,55 miliardi di dollari, ma potranno continuare ad usare le tecnologie diesel Fiat attuali (motore 1.910 cm3) e future (1.956 cm3), ed acquisiscono il 50% dello stabilimento polacco di Bielsko Biala, dove si producono i motori diesel da 1.248 cm3. Insomma la Fiat incassa i soldi, ma lascia alla Opel & C., i motori per fare concorrenza alle auto prodotte in Italia.
Tornando al pianale Premium, l’assegnazione dell’Alfa 159 allo stabilimento campano nel 2003, decreta la nascita del problema “Pomigliano d’Arco”. Fino ad allora in tale impianto venivano realizzate le vettura Alfa di segmento C (147), D (156) e coupè (Gt) intorno ad un unico pianale (Tipo II rev 3). La sostituta della 147 dovrà essere realizzata su un’evoluzione del pianale “C” a Cassino, il lancio della “sovrapposta”, ma fallimentare nelle vendite, Brera significa che modello GT uscirà di produzione e per la 159 non si farà mai neanche un restyling. In altre parole nel 2003 appare evidente che l’ex impianto Alfasud non ha più una missione produttiva, ma per sette anni in Italia non se ne accorge nessuno. Nel 2010, con l’utilizzo degli impianti al 10% della capacità produttiva e gli operai in cassa integrazione permanente, arriva il referendum “bere o affogare”. Per il futuro c’è in programma la produzione annua di 280 mila new Panda. Marchionne ogni giorno terrorizza gli italiani che, se non accettano le sue condizioni, ha innumerevoli alternative dove realizzare le auto. Assodato che lo stabilimento Gian Battista Vico, sarà l’unico Fiat al mondo ad essere mono-prodotto, nessuno ha ritenuto saggio chiedergli quale sia il piano “B”, se le vendite della Panda dovessero risultare inferiori alle aspettative!
Fiat, all’Italia resteranno solo i bulloni. Il re Marchionne ormai è nudo
La storia si ripete con l’accordo Fiat-Chrysler, con la quale Marchionne vorrebbe replicare il successo che  Riccardo Ruggeri conseguì nella fusione italo-americana di Fiat trattori-Fiatallis e Ford tractors, ma Ruggeri era veramente un metalmeccanico. Il Lingotto riceve una partecipazione azionaria dell’azienda di Detroit, in cambio, come dichiarerà Montezemolo, <<di tecnologie costate grandi investimenti>>. Sotto la regia del governo statunitense, il sistema produttivo americano riceve il know out sul quale erroneamente non ha investito e garanzie su produzione e livelli occupazionali. Da quest’altra parte dell’oceano, l’alleanza viene salutata da tutta l’opinione pubblica come una vittoria. Che sia una vittoria per Fiat è evidente dal fatto che riceve gratis delle azioni, per il contribuente-lavoratore ci sono forti perplessità.
Obama crea una talk force per l’auto, in Italia la questione sarebbe di competenza del dicastero del (Sotto)Sviluppo Economico i cui tre ultimi ministri sono stati: Paolo Romani (diplomato al liceo classico e con la carriera segnata dalla sfortunata vicenda dell’emittente locale Lombardia7, da lui fondata, è fallita nel 1999) nessuno (per circa sei mesi l’incarico è stato ad interim) e Claudio Scajola (iscrittosi a giurisprudenza quando Valletta lasciò il comando della Fiat, riuscirà a laurearsi a 52 anni con Paolo Fresco alla guida del gruppo).
Il sindacato latita perché era abituato ad un altri tipi di ragionamento: ogni 100 operai da assumere qualcuno doveva essere fra i propri iscritti, tutto il resto (compreso politica industriale) non era affar suo.
Il dado è tratto, bisogna solo salvare la faccia: il 05 febbraio 2010 Marchionne rinuncia agli incentivi auto in Italia.
Ad oltre due anni di distanza dall’annuncio, i presunti benefici “reciproci” del nuovo corso si sono così tradotti: il primo prodotto lanciato nei mercati americani (Fiat 500) si fabbricherà nell’impianto di Toluca in Messico, il primo da commercializzare in Italia-Europa (Fiat Freemont che non è altro un Dodge Journey con il logo italiano) si fabbricherà nell’impianto di Toluca in Messico.
L’integrazione tra la Lancia e la Chrysler era stata presentata come una fusione che negli USA Chrysler avrebbe inglobato modelli Lancia e in Europa la Lancia modelli Chrysler. Le cose non andranno così e sicuramente male per l’Italia. Oggi si producono 4 modelli Lancia, di cui tre in Italia: la Ypsilon a Termini Imerse, la Musa a Mirafiori e la Delta a Cassino. I primi due scompariranno a favore di una nuova Ypsilon a 5 porte da produrre a Tichy in Polonia. L’attuale Phedra (come la Fiat Ulisse) uscirà di produzione. I quattro nuovi modelli previsti Flavia, Flavia Cabrio, Thema e Voyager saranno le stesse auto Chrysler progettate, costruite e vendute nel Nord America e commercializzate nell’Europa continentale con il marchio Lancia sul cofano. Ammesso che questa strategia possa far incrementare le vendite, cosa della quale dubito, della ultra centenaria casa automobilistica di Torino, rimarranno le 30 mila Delta di Cassino vendute solo in Italia. In nord America, di Lancia Made in Italy, non ne vedremo circolare nessuna.
Per fortuna nel 2009 a Francoforte avevano capito il bluff ed il matrimonio a tre con la Opel non si è celebrato: le sovrapposizioni di modelli sarebbero risultate talmente inconciliabili (Grande Punto e Opel Corsa sono realizzate sullo stesso pianale ed hanno tante parti in comune fra cui i motori diesel), da rendere necessaria la chiusura almeno di un altro stabilimento in Italia.
L’unica concorrenza che stimola la Fiat e quella fra le autorità per avere agevolazioni in cambio di produzione. Già nel 2002 chiede investimenti pubblici per Termini Imprese, ma il governo serbo offre per l’insediamento a  Kragujevac, un’esenzione fiscale fino al 2018, un contributo di 10 mila euro per ogni operaio assunto, aiuti in campo previdenziale, corsi di aggiornamento e di formazione, stipendio da riconoscere ad ognuno dei 2.400 assunti 300 euro al mese: Termini viene abbandonata per i Balcani. Si va a produrre il nuovo motore TwinAir a Bielsko-Bia?a solo perché il governo di Varsavia elargisce 40,9 milioni di euro. Lo stesso accordo Chrysler-Fiat alla nascita è stato condizionato al fatto che la Chrysler ottenesse “altri” 3 miliardi di dollari di prestiti governativi. Il Gruppo, <<con l’assistenza del governo messicano>>, ha portato la produzione della 500 a Toluc. L’investimento di Fiat in Brasile, con il nuovo stabilimento nel Complesso Industriale Portuario di Suape, è realizzato beneficiando di incentivi fiscali previsti per lo sviluppo della regione Nordest da parte dei governo del presidente uscente Lula. Il nuovo furgone sarà “assegnato” al Brasile o al Messico solo in base a quale autorità locale offrirà di più.
La circostanza inaspettata, che autorità e dipendenti accettino senza se e senza ma le condizioni Fiat, fa aumentare i problemi. È evidente che all’ex Bertone non sanno quale prodotto assegnare. A Cassino il referendum non si farà più, perché se, per sfortuna di Marchionne, il SI dovesse vincere, non ci sarebbe nessuna altra auto da costruirci.
Un giorno si è l’altro pure ripetono che le perdite si concentrano in Europa, però non si affronta il vero handicap: la debolezza nel segmento C, presidiato della Golf con 500 mila auto l’anno. L’omologa Fiat Bravo è a quota 60 mila. In attesa che i sempre più ambizioni obiettivi si realizzino (6 milioni di auto al 2014), le vendite languono e le quote di mercato si contraggono: nel 2010, su 17 produttori mondiali di auto, il gruppo Fiat è stato l’unico a registrare una contrazione nelle immatricolazioni; la Grande Punto, disegnata da Giugiaro, è stata al top delle vendite europee, poi i designer di Marchionne ci hanno messo la “matita” ed è scivolata al nono posto.
Le storie di successo nel mondo dell’auto sono figlie di un forte “family style” per ciascun marchio (Bmw) e una continua evoluzione per il singolo modello (caso Golf).  Il gruppo guidato da Marchionne non riesce a fidelizzare clienti, poiché non esiste continuità nella copertura dei segmenti ed omogeneità all’interno dei brand.
Sabato 19 marzo 2011 il capo dello stato, Napolitano, il sindaco di Torino, Chiamparino, il presidente della provincia, Saitta ed il governatore del Piemonte, Cota hanno reso omaggio a Marchionne ed alla fine delle auto Mady in Italy: la nuova Lancia Thema ha il pianale tedesco (Mercedes), è assemblata in Canada (Brampton) ed è un prodotto americano (una Chrysler 300 con l’aggiunta del logo italiano)
Esisteva un piccolo gruppo indipendente automotive, oggi, grazie allo spin-off, due realtà industriali troppo deboli per sopravvive da sole, ma non abbastanza grandi per divenire predatori.
Il prossimo piano Fiat? Fusione con la Chrysler, quota Exor (famiglia Agnelli) al 10-15% del nuovo gruppo, prossimo Ceo con passaporto solo americano, sede a Detroit, veicoli progettati ed industrializzati negli States, Torino sede di rappresentanza ed in Italia ci lasceranno avvitare i bulloni della Panda, l’ultima auto prodotta a Pomigliano d’Arco.
http://affaritaliani.libero.it/economia/fiat_report_marchionne26032010.html

Fiat/ Marchionne, altro che uomo dell'anno. Ecco perché ha fallito tutti gli obiettivi

Dopo aver distrutto Il Sole 24Ore con la sua lettera impietosa (basata su cifre e fatti precisi), il commercialista Giovanni Esposito sceglie ancora Affaritaliani.it per tornare alla carica con Fiat. Alla maniera degli antichi disturbatori delle assemblee delle grandi società quotate (quei piccoli azionisti che avevano modo di dire la loro solo una volta all'anno, quando coglievano  l'occasione per massacrare i grandi e inavvicinabili manager), stavolta Esposito fa le pulci a Sergio Marchionne. E chiaro e tondo gli mette davanti tutti i suoi errori, quegli stessi di cui molti parlano ma che nessuno ha il coraggio di mettere in fila nero su bianco. Con la precisione di un'ex-azionista di lungo corso, appassionato d'auto e con una certa dimestichezza con bilanci e termini finanziari. Ecco perché il manager italo-canadese ha fallito tutti gli obiettivi, ha fatto utili solo grazie ad operazioni finanziarie ed ha scelto di arrivare al redde rationem con i suoi operai...
LA LETTERA
Egregio dott. Sergio Marchionne,
se c’è una cosa che accomuna
(quasi) integralmente l’opinione pubblica italiana, è la sua osannazione. Salvo rare voci isolate (per giunta strumentali), non vi è opinionista che non La indichi come simbolo della migliore classe dirigente italiana. L’ex maggior quotidiano economico italiano (del quale per mia sfortuna sono azionista) l’ha eretto a uomo dell’anno. Lei, oramai affetto da un totale delirio di onnipotenza, si permette (perché in un Paese di invertebrati, chi ha un po’ di sale nella zucca è condannato ad emergere) di proporre e far accettare unilateralmente il suo dogma.
Forse per ignoranza della storia industriale, probabilmente per il basso profilo che contraddistingue l’attuale classe dirigente, sicuramente per la predisposizione al servilismo che accomuna l’intellighenzia italiana,nessuno ha il coraggio di dire e contestare ad alta voce la verità: sul piano commerciale la Fiat auto dell’era Marchionne ha miseramente fallito e su quello industriale ha commesso innumerevoli errori.
L’8 e 9 novembre  2006 veniva presentato in pompa magna il “Fiat Investitor & Analyst Day” (uno degli innumerevoli dell’era Marchionne che puntualmente disattendeva i precedenti e sarà smentito dai successivi).  Tutti gli obiettivi del piano al 2010 sono stati mancati:
tabella sole 24 ore

Qualcuno potrebbe imputare tali risultati deludenti agli strascichi della crisi globale, invece tutte le altre case nel 2010 hanno macinato record su record: gli ultimi sono stati il marchio Volkswagen che ha venduto 4,5 milioni di auto ed il gruppo Psa con 3,6 milioni di vetture vendute (+13% sul 2009).
A differenza di quello che si crede, il rilancio di Fiat e di Exor (ex Ifi-Ifil) dell’era Marchionne non è arrivato dalla gestione industriale, bensì dalle operazioni finanziarie “risoluzione Put option Gm” (1,5 miliardi di euro), cessione quota “Italenergia” (1,1 miliardi, plusvalenza 0,8 miliardi) , “convertendo” (3 miliardi di euro di debiti convertiti in capitale), “equiti swap”, la quota della news Chrysler che la Fiat ha pagato e pagherà zero (il 20+15% potrebbero valere anche 7 miliardi di euro), spin-off, ecc...
Tranne poche rare eccezioni, la Sua Fiat non ha dato alla luce successi commerciali: il flop di Brera e Spider, le vendite della Delta al lumicino, il declino della Bravo, il fiasco del restiling Croma. Oggi il grosso delle (poche) vendite del gruppo proviene da progetti preesistenti (Grande Punto e Panda) oppure voluti da altri (la 500 di Lapo Elkann).
La leggenda dell’uomo decisionista (pare che abbia detto che le decisioni vadano prese alla velocità della luce), in realtà nasconde l’arroganza di voler essere libero a continui ripensamenti (come la vettura segmento C dell’Alfa che poco prima del lancio cambia nome da Milano a Giulietta); atteggiamento che ha fatto perdere al gruppo i migliori uomini (fra cui Luca De Meo). Decine di manager licenziati oppure spostati da un incarico ad un altro hanno fatto trovare più volte l’organizzazione nel caos.
La totale confusione nella quale ha navigato il piano prodotti negli ultimi 6 anni:
Lancia: suv inizialmente previsto per il 2006 su base Fiat Sedici è stato prima rimandato, poi cassato ed infine ricomparso (forse) su base Chrysler; del “modello di nicchia” (i rumors parlavano della Fulvia) previsto per il lontano 2007 non se ne è saputo più nulla, la news Ypsilon rimandata più volte. Alla fine è arrivata la grande idea di ricarrozzare tutte le Chrysler con il logo Lancia (che destino inglorioso ed irrispettoso della storia del marchio);
Alfa Romeo: lei si chiede spesso perché vende poco, io noto che l’intero marchio ha una gamma pari alle varianti di un solo modello Audi o Bmw; l’erede del segmento C prevista nel 2007 ed uscita solo 36 mesi dopo; il top di Gamma annunciato per il 2008 e continuamente procrastinato; inizialmente era previsto in un solo Suv, dopo si è detto nessuno, ora pare addirittura due.
L’incomprensibile errore commerciale di annunciare con largo anticipo l’uscita di modelli: infatti perché un acquirente, che tiene al valore della sua auto, dovrebbe acquistare un’Alfa 159? Il deludente andamento delle vendite nei nuovi mercati russo, cinese ed indiano.
Per gli stabilimenti di Pomigliano e Termini Imprese, dietro i proclami della loro bassa produttività, si nasconde il preordinato affossamento della produzione del primo (come mai, nel suo assioma di non lasciare così com’è un modello sul mercato per più di 2 anni, dopo tanto tempo dal lancio, non è stato effettuato alcuna rinfrescata stilistica alla 159 e al GT?) e della chiusura del secondo (premesso che nello stabilimento siciliano si produceva ancora su pianale “Punto Classic” solo la “Ypsilon” e acclarato che l’erede sarebbe stata prodotta – era già chiaro nel 2005 - su pianale Panda-500–Tychy-Polonia, a quale stabilimento poteva essere mai essere assegnata?).
Il grossolano errore di non aver investito nei Crossover e Suv, benché fosse evidente anche all’ultimo venditore di auto usate del globo che il mercato premium andasse in tale direzione.
A proposito di Suv, gira voce che all’Elasis di Pomigliano, il centro ricerca di eccellenza Fiat, abbiano impegnato tanta parte del loro tempo (e soldi pubblici) per testare il Suv Alfa “Kamal”, salvo abbandonare il progetto perché i volumi presunti di vendita non avrebbero ripagato i costi di industrializzazione. 
Sia ben chiaro che tutte le sua posizioni sulla produttività degli impianti sono più che condivisibili, ma il punto non è questo. Gli utili si possono fare in due modi: alzando i ricavi oppure comprimendo i costi(o meglio un mix dei due). La sua Fiat pare sia in grado di agire solo sul secondo aspetto. In altri termini non riuscendo a convincere i consumatori a comprare auto del gruppo, sta scaricando il problema su fornitori e dipendenti.
http://affaritaliani.libero.it/economia/fiat_lettera150111.html

Le domande che Monti (e l'Italia) avrebbe dovuto fare a Marchionne


1) Tassazione. Fra i paesi nei quali Fiat opera, l'Italia è quello in cui il tax rate è di gran lunga superiore agli altri. Pur nel rispetto della normativa anti elusiva, le scelte, sia in merito ad operazioni infragruppo e sia industriali, sono mai state condizionate dalla circostanza che risulta “conveniente” conseguire utile in stati a fiscalità privilegiata rispetto all'Italia? Quale peso avrà la tassazione fiscale, nella scelta della sede del gruppo fra Detroit e Torino?
2) Ammortizzatori sociali. È auspicabile che a breve in Italia venga varata una riforma degli ammortizzatori sociali, che renda più selezionato l'accesso alla CIG. Poiché Fiat ricorre in maniera massiccia a tale strumento, come intende gestire in futuro la forza lavoro perennemente in esubero negli stabilimenti italiani, a causa della forte calo delle vendite e perdita di quote di mercato?
3) Produzione low cost in Italia, premium nei paesi emergenti. A Pomigliano d'Arco fino al 2010 veniva assemblata un modello “premium”, l'Alfa Romeo 159, il cui allestimento “base” aveva un prezzo di listino di 27 mila euro; la nuova Panda ora prodotta al Gianbattista Vico, parte dai 10 mila euro ed ha richiesto un investimento di circa 700 milioni di euro. Supponendo, ottimisticamente, che lo stabilimento produca 200 mila Panda l'anno, ad un prezzo netto di 12 mila euro cadauna, con un margine, al lordo degli ammortamenti, del 3%, il risultato sarebbe di circa 70 milioni d'euro. Ne consegue che su di un orizzonte temporale decennale, volendo ripagare anche il costo dell'investimento (70 milioni l'anno), Fabbrica Italiana Pomigliano spa difficilmente riuscirà a conseguire un solo euro di utile. In base a quale motivazioni, il gruppo da lei guidato, ha allocato la produzione dell'auto a minor valore aggiunto nello stabilimento a maggior costo di produzione?
4) L'Italia ha bisogno di Fiat e Fiat dell'Italia. Recentemente lei ha affermato che <<La decisione di riportare la produzione della nuova Panda in Italia non è stata presa solo sulla base di considerazioni razionali..., ma per via del legame storico e della relazione privilegiata di Fiat con l'Italia ...>>. Nel 2011, visto che solo il 3,65% degli europei (extra Italia) ha acquistato auto a marchi Fiat, è probabile che, altrettanto in maniera anch'essa poco razionale, il consumatore italiano abbia comprato per il 28,5% vetture Fiat. Eccetto i marchi di lusso, il Lingotto nell'ultimo anno ha prodotto in Italia 550 mila auto e ne ha vendute 514 mila. È corretto sostenere che solo Fiat investe in Italia, ma solo gli italiani comprano auto Fiat?
5) Sovracapacità produttiva. In merito al 20% di sovracapacità produttiva europea del settore automobilistico, lei giustamente sostiene che si debba trovare una soluzione strutturale. Il 30 aprile 2008 Fiat e governo serbo hanno creato una joint venture, la Fiat Automotive Serbia, per rilevare il settore auto del colosso Zastava. Ma già allora il sovra dimensionamento degli impianti Fiat era intorno al 50%. Tant’è che nell’anno seguente, Fiat auto cosi sfrutterà gli stabilimenti italiani:
Stabilimento Capacità Tecnica (vetture anno) Utilizzo anno 2009
Cassino 400 mila 24%
Melfi 400 mila 65%
Mirafiori 250 mila 64%
Pomigliano d’Arco 280 mila 14%
Termini Imerese 140 mila 36%
Fiat auto ha chiuso uno stabilimento (Termini Imerese) dalla capacità produttiva di 140 mila vetture, per riattivarne uno (Kragujevac era praticante distrutto) da 200 mila vetture.
Non pensa che Fiat, avendone creato 60 mila aggiuntiva, è il primo responsabile dell’attuale sovracapacità produttiva dell’industria dell’auto europea?
6) Stabilimenti mono-prodotto. Ogni modello di auto segue un proprio ciclo di vita, rappresentato dalle seguenti fasi: progettazione, industrializzazione, inizio produzione, lancio, sviluppo, maturità, declino, restyling o ritiro. Gli stabilimenti di Melfi e Pomigliano d'Arco, casi più unici che rari nell'industria automobilistica, attualmente sono mono prodotto. Pur ammettendo che la Fiat Punto e Panda risultino modelli di successo, in ogni caso vi sarebbero ciclicamente periodi di minore impiego dei relativi impianti. Quale strategia ritenete attuare per utilizzare in maniera ottimale gli stabilimenti nelle fasi di ridotta produzione o domanda di questi due modelli?
7) Piano B. Nel giugno del 2010, a proposito della produzione della Panda a Pomigliano d'Arco, lei, invocando il “Piano B”, minacciava che << … possiamo partire con la produzione nel 2011 della Panda, se no l'andiamo a fare altrove ...>>. Qual è il piano B per il futuro dello stabilimento, se la Panda non dovesse riscuotere, come sembra, un successo commerciale tale da riassorbire tutta la forza lavoro preesistente?
8) Alfa Romeo. Nel 1986, quando venne ceduta alla Fiat, l'Alfa Romeo, targata carrozzone di Stato-Iri, produceva la misera cifra di 168 mila vetture l'anno, rispetto alle 353 mila di Audi e 432 mila di Bmw (dirette concorrenti). Nel 2003, pre Marchionne, la situazione era: Alfa Romeo 182 mila, Audi 760 mila, Bmw 944 mila. Dopo 8 anni della sua gestione: Alfa Romeo 126 mila, Audi 1,3 milioni e Bmw 1,380 milioni. In 25 anni, mentre l'Alfa Romeo perdeva il 25% dei clienti, la concorrenza cresceva del 270% e 220%. Come risponde alla accuse di inadeguatezza manageriale ed insufficienza finanziaria della Fiat nella valorizzazione del marchio? In passato sono circolate indiscrezioni sulla volontà del gruppo Volkswagen di acquisire l'Alfa Romeo. Se si creassero le condizioni per cedere anche uno stabilimento italiano, sarebbe disposto a discuterne con i tedeschi e le parti sociali italiane?
9) Futuro di Cassino. La sottoutilizzazione produttiva della fabbrica situata nel comune di Piedimonte San Germano, che produce vetture del segmento C, è riconducibile alla modesta presenza del gruppo Fiat-Chrysler in quella che è la fascia più importante in Europa. Nel 2011 le vendite sono state pari a 484 mila per la Volkswagen Golf, 287 mila per la Opel Astra e 280 mila per la Ford Focus. Le tre vetture (Bravo, Delta e Giulietta) assemblate da Fiat a Cassino, non sembrano in grado di raggiungere, assieme, le 150 mila unità. Quali iniziative e programmi ha il gruppo per utilizzare in maniera ottimale l'impianto e la relativa forza lavoro pari a circa 4.000 unità?
10) Meno parole, più auto. Nell'ultimo periodo dispiace registrare un aumento delle sue nefaste esternazioni pubbliche, accompagnate da innumerevoli polemiche (vedi ipotesi di ritiro da due stabilimenti italiani). Al contempo non si può far a meno di rilevare che sotto la sua gestione, sia i brand e sia i singoli modelli, pedissequamente non abbiano centrato gli obiettivi di vendita precedentemente annunciati; tant'è che nel 2011 per la prima volta, nella classifica delle immatricolazioni europee, fra le prime 10 vetture, non compare nessun'auto italiana. Quali sono stati i motivi ed a chi vanno imputate le responsabilità di tale declino commerciale? Non sarebbe auspicabile che Lei ridimensionasse le dichiarazioni pubbliche in favore di un maggior impegno per incrementare le vendite di auto?

martedì 13 marzo 2012

Meno Irpef e più Iva = più crescita? È una bufala

Martedì, 13 marzo 2012 - 12:37:00
Di Giovanni Esposito
Ultimamente il Presidente Monti ha rilanciato l'idea di spostare la tassazione dalle persone alle cose. L'opzione ha riscosso in maniera quasi unanime consensi, poiché, rispondente a criteri di presunta equità, si sostiene possa essere una scelta vincente. I fautori di tale teoria immaginano che la riduzione delle imposte sui redditi significhi al contempo lasciare più soldi in tasca ai lavoratori, abbassare il costo del lavoro, incoraggiare la produttività, l’occupazione e la crescita. Si sostiene, inoltre, che il gettito Iva/Pil dell'Italia sia inferiore a quello degli altri paesi europei.
Ma alcune semplici considerazioni ci permettono di confutare tale tesi: invero questo teorema, calato nella attualità italiana, risulterebbe iniquo, distorsivo, regressivo e depressivo.
In base ai dati 2009 più di 10,5 milioni di persone (un terzo dei contribuenti) hanno imposta netta Irpef pari a zero: si tratta di soggetti con livelli reddituali compresi nelle fasce di esonero oppure che fanno valere detrazioni tali da azzerare l’imposta lorda; in altri termini guadagnano (o dichiarano) talmente poco da non pagare Irpef. Ebbene, subendo l'aumento dell'Iva senza poter beneficiare di alcuna riduzione delle imposte sul reddito, il terzo più povero della popolazione si vedrebbe ridotto il potere d'acquisto.
L'aumento automatico, riguardando tutti i prezzi, comprimerebbe la domanda, senza essere certi che tale effetto possa essere parimente compensato da una maggiore disponibilità di denaro, conseguente alla riduzione dell'Irpef. Per i motivi sopra illustrati, la riduzione dell'imposizione diretta, non risultando “orizzontale”, potrebbe tradursi, per alcune fasce della popolazione, in maggiore propensione al risparmio a danno dei consumi.
La circostanza che il gettito Iva rispetto al Pil in Italia sia contenuto non è riconducibile alla misura delle aliquote, bensì alla inadeguatezza della base imponibile a causa della diffusa evasione fiscale. È bene considerare che i maggiori paesi Europei hanno tutti un'aliquota ordinaria minore o uguale alla nostra: Austria 20%, Belgio 21%, Francia 19,6%, Germania 19%, Paesi Bassi 19%, Regno Unito 20% e Spagna 18%.
Un ulteriore aumento delle aliquote, in un contesto di inadeguatezza del sistema distributivo, ingenererebbe una pericolosa spirale inflazionistica che avvantaggerebbe solo i monopoli soggetti a tariffazione regolata e le rendite (le locazioni sono indicizzate all'inflazione).
http://affaritaliani.libero.it/economia/irpef-iva-crescita130312.html

giovedì 1 marzo 2012

Confindustria, occhio al Paese prima che all'associazione

Giovedì, 1 marzo 2012 - 15:00:00

Di Giovanni Esposito


Nel 1976 Gianni Agnelli, alla fine del primo biennio, nel lasciare la presidenza della Confindustria, non solo designò unilateralmente il suo successore Guido Carli, ma nel farlo, si permise il lusso di indicare quello che sarebbe stato il primo e unico presidente non imprenditore. Oggi, analizzando candidati, programmi e alleanze, ci si rende conto che la successione a Viale dell'Astronomia è diventata una cosa un po' più complicata.

Il primo, in ordine alfabetico, candidato dott. Alberto Bombassei, con una storia imprenditoriale di successo alle spalle, incarna tutte le migliori virtù italiche: da otto anni al governo del "Sistema" parla da opposizione. Egli sarà ricordato per saper raccogliere le adesioni di quelli che non votano (Sergio Marchionne e Alessandro Riello). Leggendo il suo programma, già dal titolo "Quattro anni d'impegno per Confindustria e per l'Italia" viene il dubbio che sia più interessato alla riforma della Associazione (cosa di scarso interesse per noi poveri mortali) che a quella dell'Italia. Dopo aver sfogliato le 12 pagine, fra presentazione e documento, oltre ad aver percepito disagio per una confederazione non gradita cosi come è fatta (peggio per lui!), si ha l'impressione, ma questo è un dubbio personale, che ci sia tanta voglia di resa dei conti. In merito al Bel Paese: qualche luogo comune, che in quanto tale non può che essere condivisibile, accenni nostalgici sul come eravamo giovani e belli, constatazione dell'attuale situazione, però … non si capisce dove vorrebbe che andassimo. L'unica cosa chiara sul da farsi, perché madre di tutti mali dell'Italia, è l'abolizione dell'articolo 18. A tal proposito vorrei sgombrare il campo da ogni dubbio: così come è stato concepito nel 1970 non va bene, di conseguenza andrebbe modificato.
Quando, però, Mister Brembo sostiene che tale norma sarebbe l'impedimento principale per tante aziende, soprattutto straniere, che vorrebbero investire in Italia, Io, evidentemente non in perfetta sincronia con auto e freni e, quindi, convinto che fossero alta imposizione fiscale, incertezza normativa, carenza infrastrutturale, malavita organizzata, corruzione e clientele a rendere poco attraente l'investire nella penisola italica, rimango basito. Modestamente ritengo che lo sviluppo non possa essere aiutato rendendo più facile il licenziamento, bensì creando, sane, condizioni affinché si possa investire ed assumere di più.

 Dalle "idee" del dott. Giorgio Squinzi, alla guida di uno dei pochi gruppi che ha saputo divenire globale senza delocalizzare la produzione nazionale, sembrerebbe, per fortuna, che i problemi dell'Italia vengano prima di quelle della Confindustria (anche'essa, probabilmente, da aggiornare). I sei punti enunciati sono tutti auspicabili (semplificazione normativo-burocratica per snellire gli investimenti, politica fiscale non oppressiva in linea con l'Europa, politica energetica per ridurre il divario con l'Unione europea, più credito alle Pmi, tempi più rapidi nei pagamenti dal parte della P.a e più investimenti in infrastrutture anche immateriali come scuola e formazione), ed in particolare il primo, come avevamo rappresentato (http://affaritaliani.libero.it/economia/monti-vogliamo-semplificazioni151211.html) in tempi non sospetti al Presidente Monti, è una priorità. Fra l'altro, essendo a costo zero per le nostre finanze, è l'unica cosa che ci possiamo e dobbiamo sicuramente permettere.

 A mio modesto avviso, in un momento critico e difficile come questo, per evitare che il clima e la pace sociale vengano minate, l'Italia ha bisogno di persone votate al dialogo, che lavorino affinché si trovino soluzioni innovative, ma, per quanto possibile, condivise. Quello che leggo e sento mi inducano a ritenere che il dott. Alberto Bombassei non sia la persona giusta.
http://affaritaliani.libero.it/economia/confindustria_bombassei_squinzi01032012.html