mercoledì 26 ottobre 2011

La verità sulle pensioni: pochi giovani per molti vecchi

Mercoledì, 26 ottobre 2011 - 13:20:15

Di Giovanni Esposito
Sistema pensionistico basato sulla "capitalizzazione" che preveda l'investimento dei contributi riscossi dai lavoratori attivi per il pagamento delle pensioni, con la conseguente costituzione riserve tecniche; metodo di calcolo "contributivo", in base al quale le prestazioni siano calcolate in funzione dell'ammontare dei contributi versati dal singolo; requisiti d'accesso al pensionamento, fissati in 65 anni per gli uomini e per le donne. Se pensate che questi siano i cardini di un'attuale proposta di revisione del sistema previdenziale, siete totalmente fuori strada. Questi sono i principi della riforma varata in Italia nello stesso anno in cui, i tenenti Frassetto, Rusconi, Ciatti, Brichetti e Adami, il 31 agosto, giurarono: "In nome di tutti i morti, per l'unità d'Italia, giuro d'essere fedele alla causa santa di Fiume, non permetterò mai con tutti i mezzi che si neghi a Fiume l'annessione completa e incondizionata all'Italia. Giuro di essere fedele al motto: "ITALIA O MORTE!".

Non solo è arcinoto cosa si debba fare, ma il sistema equo e sostenibile esisteva già; solo che i nostri padri (gli stessi che tutti osannano come costituenti) lo hanno progressivamente scardinato fino alla contro-riforma del 1968, il successivo consociativismo lo ha distrutto e l'attuale classe politica non ha avuto il coraggio di riformarlo strutturalmente.

Tornando ai nostri giorni, che sulle pensioni incomba il dovere di intervenire, perché il sistema è insostenibile, non vi è ombra dubbio: lo dicono i numeri. Ahimè, le argomentazioni utilizzate, seppur teoricamente condivisibili, risultano false. Il Governo, la Confindustria, la stampa, parte del sindacato e delle opposizioni (le restanti utilizzano argomentazioni anche se diverse, ugualmente prive di fondamento) sostengono che per garantire l'equilibrio, l'ammontare delle pensioni dovrà essere correlato ai propri contributi versati durante la vita lavorativa.

 Non so se questi ragionamenti siano figli di una classe dirigente, trasversalmente ed a tutti i livelli, composta da stupidi, oppure da bugiardi che sanno di mentire. Resta il fatto che le cose non stanno come ci dicono.
 Questo ragionamento potrebbe stare in piedi in un sistema a capitalizzazione, nel quale gli enti pensionistici pubblici accantonano i contributi dei singoli soggetti durante la vita lavorativa, per poi prelevarne i frutti al fine di erogare le pensioni agli stessi soggetti.
Ma non è cosi: difatti, per far fronte al pagamento delle pensioni future, non è stata (e non viene) accumulata alcuna riserva.

 Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico (Inps, Inpadap, ecc.) è strutturato secondo un criterio corrente (denominato a ripartizione). Ciò implica che i contributi versati da lavoratori ed aziende agli enti di previdenza, vengano utilizzati per pagare gli assegni di coloro che in quel momento sono in pensione. Risulta, peraltro, evidente che in un sistema così concepito, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) dovrebbe essere in equilibrio con l'ammontare delle uscite (le pensioni pagate).
 In altri termini, a dispetto dei sbandierati principi equitativi, con il sistema vigente ogni generazione non potrà percepire alcuna pensione commisurata ai propri contributi versati, ma era (è e sarà) condannata ad avere un assegno in linea ai contributi di quella che in quel momento lavora.
 Siccome per molti decenni, i versamenti sarebbero risultati superiori alle pensioni da erogare in base ad un sistema equo e sostenibile, il surplus è stato sperperato e dissipato nel calderone dell'assistenza e della fiscalità generale, insomma come ammortizzatore sociale da utilizzare per la macchina del consenso (non esistono dati ufficiali, ma si potrebbe stimare, con una certa approssimazione, che l'ammanco ad oggi ammonti a 3-5 mila miliardi di euro).

 L'unico e vero motivo per il quale i futuri pensionati dovranno percepire una pensione più bassa è la conseguenza di meno lavoratori condannati a mantenere sempre più pensionati. L'evoluzione demografica, invero, farà si che nei prossimi anni (almeno fino alla metà del secolo) la proporzione lavoratori/pensionati avrà un dinamica a favore dei secondi.

Tutte le proiezioni sulla sostenibilità del sistema sono fatte, nella migliore delle ipotesi, per garantire correntemente l'equilibrio contributi versati/pensioni erogate, senza prevedere che, nei momenti di piramide demografica regolare, il surplus generato debba incrementare una riserva dalla quale attingere nei momenti di inversione della composizione anagrafica della popolazione. Questo è il vero ed assurdo paradosso del nostro sistema pensionistico: si percepisce una pensione proporzionale ai contributi versati … dalle altre generazioni.
http://affaritaliani.libero.it/economia/pensioni26102011.html

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